Anni fa la rete era un progetto riservato a pochi: università, governi e qualche ente privato. ARPAnet si chiamava. Nata da un’idea di ricerca, era una rete limitata ma che rispondeva alla richiesta governativa di trovare un sistema in cui i segnali e le comunicazioni potessero sempre arrivare a destinazione, cambiando automaticamente percorso in caso di malfunzionamento di una stazione intermedia.
A quell’epoca erano veramente in pochi a servirsene. Il rapporto non era di massa, le informazioni erano esclusivamente testuali e i contenuti obbligatoriamente di ridottissime dimensioni. Per capire quanto, basta pensare che quando una mail superava i 25 Kbyte di peso era considerata inopportuna. Oggi quel peso è necessario solo per l’intestazione.
Le linee di trasmissione dati erano lente, ma all’epoca davano la sensazione di qualcosa di miracoloso, nonostante la velocità fosse di 2,4 kbps (oggi l’ADSL più scadente ha una velocità di 2 Mbps, il che significa che è circa mille volte più rapida).
Giocoforza era quindi la limitatezza dei contenuti al solo testo e per giunta anche molto “ristretto e sintetico”. Eppure il flusso informativo era già importante, soprattutto a livello universitario, dove le informazioni iniziarono a circolare a velocità fino a quel momento impensabili. La possibilità di scambiare dati rapidamente senza dipendere da supporti cartacei aprì un intero nuovo orizzonte per la ricerca e le comunicazioni.
Non ci è voluto molto perchè da quelle prime, pionieristiche applicazioni, ARPAnet si trasformasse in INTERnet. L’evoluzione tecnologica ha portato rapidamente all’aumento della velocità di connessione, consentendo nel tempo agli utenti di trasmettere contenuti sempre più complessi, e favorendo la diffusione capillare dei collegamenti. Negli Stati Uniti, già quindici anni fa era possibile ordinare la spesa via internet al supermercato più vicino e farsela recapitare a casa pagando con carta di credito (qualcosa che, per inciso, in Italia ancora non è possibile).
Ma il vero punto di svolta venne segnato dall’avvento del protocollo “http”, quella strana sigla che precede gli indirizzi del web, e che rappresenta in realtà un intero universo di possibilità. Http sta per Hypertext Transfer Protocol. Tre parole magiche che in realtà hanno davvero creato un’epoca. L’ipertesto, ovvero il documento in cui le informazioni non sono solo testuali, rappresenta l’inizio di Internet in quella che è la consapevolezza di massa, consentendo finalmente la trasmissione di documenti non solo a contenuto testuale ma che includono di fatto anche immagini, all’inizio, e poi, man mano che la capacità tecnologica di supporto delle reti aumenta, di contenuti a tutti gli effetti multimediali, come audio, video, e tutta una serie di codifiche di altro tipo.
La rete da quel momento entra nella vita degli esseri umani, aprendo interi nuovi canali di comunicazione, possibilità commerciali, e via dicendo. È all’avvento del Worl Wide Web, reso possibile dalla definizione del protocollo http che il rapporto delle persone inizia a cambiare. Prima in modo limitato alle comunicazioni, con email e pochi siti web, fino allo stato attuale delle cose, in cui la presenza in rete non può essere limitata ad un sito, per quanto ben fatto, ma coinvolge entità tentacolari come i Social Network e motori di ricerca, oggi ridotti quasi sostanzialmente a pochi nomi.
Al principio del terzo millennio sembra impensabile una vita in cui la connessione non sia istantanea. Viene quasi un brivido a ricordare i tempi in cui si tornava a casa e si “ascoltava la segreteria telefonica” perché se qualcuno doveva comunicarci qualcosa e non ci trovava in casa, quello era il modo più tecnologico.
Una possibilità incredibile in tutti i sensi, che può fare la differenza in tutte le direzioni. Essere costantemente online significa non potersi sottrarre, almeno apparentemente, al contatto di lavoro, all’impegno, al dovere.
E la comunicazione segue lo stesso percorso: può essere intensa, essenziale, interna o intima, ma anche inutile, soverchiante o superficiale, come spesso accade in quel bailamme che sono i Social Network, Facebook in testa, dove la condivisione di contenuti conosce una intera nuova dimensione della non-esistenza, dove le persone potrebbero condividere davvero contenuti importanti (e a volte accade), ma il più delle volte si limitano a onanistiche attività di autocelebrazione, oppure a dar fiato ai denti di qualcun altro senza la minima cognizione di fatto.
E in tutto questo la parte del leone viene giocata da istituzioni governative e big companies che, con la scusa della globalizzazione, raccolgono dati personali, tendenze e collegamenti sociali di tutti gli utenti.
Abbiamo fatto grandi passi da ARPAnet ad oggi ma non sempre nella direzione ideale.
In pratica
In questo caso, la prova suggerita è tra le più difficili da attuare, ma anche tra le più concise da consigliare: provate a spegnere cellulare e computer per un’intera giornata e affidate alla segreteria telefonica tutte le voci di chi vi cerca. Se ce la fate, metteteci al corrente di come è andata. Siete casi da studio!